Suzuka, 8 Ottobre 2000. La F1 si ritinge di rosso.

Ci sono piloti che hanno fatto la storia della Formula 1, impossibile decretare il più forte, troppe le differenze tra le varie epoche. Forse possiamo capire meglio guardando le diverse generazioni che si sono susseguite, dai pionieri del volante fino ad arrivare ai super preparati atleti di oggi.

Dalla seconda metà degli anni ’90 il nuovo punto di riferimento è stato Michael Schumacher, che dopo un inizio promettente si aggiudica i 2 Mondiali del 1994 e 1995.

La grande sfida arriva per lui l’anno successivo, la Scuderia Ferrari arrivava da stagioni alquanto buie; a Maranello si cerca in tutti i modi di prendere l’asso tedesco, che accetta la sfida in rosso. Lo seguono in questa nuova avventura Ross Brown, progettista e coordinatore della Benetton, insieme a Rory Byrne, tecnico sudafricano dalle indubbie doti. Obiettivo, portare la Ferrari di nuovo sul tetto del mondo.

Il tedesco sa benissimo che la strada sarà tutta in salita, non si diventa Campioni del Mondo senza avere intorno tutta una struttura funzionale, dalla pista alla fabbrica, altrimenti qualcun’altro può fare meglio di te e batterti.

I primi anni certificano la stoffa del tedesco, Michael riesce a vincere tante gare nonostante i limiti del mezzo meccanico, ma tutto il team stava crescendo di stagione in stagione, il tutto magistralmente gestito da un grande Jean Todt.

Il tedesco si gioca il Mondiale già nel 1998, l’anno successivo sembra essere quello buono ma un incidente a Silverstone gli toglie la possibilità di correre alcune gare ed annulla le chances iridate. La prima stagione del nuovo millennio parte bene, la Ferrari con Schumacher si impone in Australia e centra una doppietta al debutto, seguoni altre due vittorie per Michael nelle due gare successive.

La striscia di successi si interrompe a Silverstone, il suo rivale in quegli anni è Mika Hakkinen e la sua McLaren. La prima parte di stagione vede in testa la rossa di Maranello, nella seconda metà il finlandese si rifà sotto, il tutto comunque in perfetto equilibrio.

Sul circuito di Indianapolis Schumacher vince, Hakkinen si ritira; la gara dopo si disputa sul circuito giapponese di Suzuka, a due GP dal termine del Campionato Michael ha a disposizione il primo “match point” per aggiudicarsi il titolo.

Il tedesco centra la Pole in qualifica; Hakkinen parte meglio la domenica e va in testa, nello svolgersi della contesa entra in gioco “il maestro” Ross Brawn che fa caricare più carburante sulla vettura di Schumi per permettergli di rimanere in pista più a lungo.  Successivamente la squadra fa una magia ai box, in sei secondi rifornimento e cambio pneumatici.

Una notte, quella tra sabato e domenica, vissuta tra speranza e paura di quello che sarebbe potuto succedere nelle prime ore del mattino. All’alba gli italiani sono incollati davanti alla TV, Michael infatti riaccese la passione, la speranza dei tifosi del Cavallino; e poi quando c’è di mezzo la Ferrari è come giocasse la Nazionale di calcio per gli italiani: questione di orgoglio.

La fibrillazione della partenza è alta ma svanisce al semaforo verde, le difficoltà di una gara maledettamente complicata si diluiscono col passare dei giri, ma alla fine l’Italia intera si sveglia con l’appassionata telecronaca di Gianfranco Mazzoni: “Le ultime curve per Michael Schumacher inseguito vanamente da Mika Hakkinen. Il titolo Mondiale non gli può sfuggire. L’ultima chicane, poi l’ultima prima del traguardo. Michael Schumacher ce l’ha fatta! Sì, Michael Schumacher è Campione del Mondo, riporta il titolo iridato a Maranello, 21 anni dopo Jody Scheckter!”.

Ci sono voluti oltre 4 lustri per tornare a vincere, tanti fine settimana di fatiche e delusioni, ma poi tutto ha iniziato ad ingranare per il verso giusto, e si è scritta una delle pagine più belle della Formula 1.

22 anni dopo stessi brividi.

Scritto da Alessandro Rossi

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